Pratiche psichiatriche di repressione e abuso

Siamo un Collettivo Antipsichiatrico e ci proponiamo come gruppo sociale che, costruendo occasioni di confronto e di dialogo, vuole sostenere le persone maggiormente colpite dal pregiudizio psichiatrico. Il nostro impegno consiste nell’osservazione e nell’analisi del ruolo sempre più ingombrante che la psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, ponendo particolare attenzione alle modalità e ai meccanismi attraverso i quali essa si espande sempre più capillarmente e trasversalmente. L’attività del collettivo si articola in due diversi piani. Un piano è innanzitutto quello politico, attraverso le forme che sono proprie del collettivo, mentre l’altro è quello della relazione e del sostegno alle persone che richiedono il nostro aiuto. Il lavoro di analisi e di denuncia è accompagnato da iniziative volte alla diffusione di cultura antipsichiatrica come, ad esempio, la presentazione di libri, opere teatrali, film, video, incontri e dibattiti.

Inoltre siamo dotati di un telefono cellulare e riceviamo, allo sportello d’ascolto antipsichiatrico presso la nostra sede, le persone che hanno la necessità di contattarci in caso di emergenza psichiatrica o semplicemente per confrontarsi, avere dei consigli o essere ascoltate. Allo stesso modo veniamo interpellati da diverse persone attraverso il nostro indirizzo email.

Negli ultimi decenni la psichiatria ha radicato il suo pensiero e le sue tecniche nell’intero corpo sociale diventando un vero e proprio strumento di controllo trasversale a varie istituzioni e fasce d’età. Questa tendenza si è ingrandita e rafforzata durante la pandemia. Aver vissuto un periodo senza contatti sociali dovuto alla paura del contagio, lo stress da confinamento e la crisi economica che sta colpendo ampi strati sociali, ha causato un incremento dei disagi psichici.

L’epidemia da Covid-19, e come è stata affrontata, ha messo in difficoltà una parte della popolazione, generando disagi, patologie e fragilità. Guardiamo anche con preoccupazione a quello che sta succedendo ai bambini e adolescenti in ambito scolastico. Le scuole sono invase da screening neurodiagnostici, alla ricerca di presunti disturbi che altro non sono che la legittima risposta dei ragazzi alla difficoltà del momento. Non è lecito trasformare quanto accaduto in diagnosi, cercando disturbi neurologici che sono semplicemente la conseguenza di una momentanea difficoltà nella crescita e nello sviluppo di ragazzi e ragazze. Si tratta di evitare che i più piccoli vengano raggiunti da questi tentativi, proposti nelle scuole senza alcun quadro normativo, di realizzare screening per andare alla ricerca di questi disturbi.

L’Italia è l’unico paese al mondo dove dal 1978 con la legge 180 i manicomi sono stati aboliti. Ma la riforma del sistema psichiatrico si è rivelata più verbale che materiale: ai cambiamenti formali non sono seguite differenze sostanziali delle condizioni di vita dei soggetti internati. Quello che è certo è che la rivoluzione psichiatrica all’italiana ha riguardato solo i luoghi della psichiatria, ma non i trattamenti e le logiche sottostanti. Con la legge che ordina la chiusura degli ospedali psichiatrici, che nel 1978 erano 76, si è verificata una trasformazione che ha visto sorgere tutta una serie di piccole strutture; all’interno delle quali continuano a perpetuarsi sia l’etichetta di “malato mentale” sia i metodi coercitivi e violenti della psichiatria. Ad oggi abbiamo 320 reparti psichiatrici, gli SPDC (Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura) e circa 3200 strutture psichiatriche residenziali e centri diurni sul territorio dove in molti casi si sono conservati i dispositivi e gli strumenti propri dei manicomi, quali il controllo del tempo, dei soldi, l’obbligo delle cure, il ricorso alla contenzione e l’elettroshock. Ci teniamo a ribadire che nonostante le vesti moderne l’elettroshock rimane una terapia invasiva, una violenza, un attacco all’integrità psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche psichiatriche come il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria. Il percorso di superamento dell’elettroshock e di tutte le pratiche non terapeutiche (obbligo di cura, contenzione meccanica e farmacologica, internamento) deve essere portato avanti e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e formazione dove il soggetto principale è una persona, che insieme ai suoi cari, soffre una fragilità.

Nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica. Ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali e penitenziarie italiane.

Per i ricoverati in TSO e considerati “agitati” si ricorre ancora all’isolamento e alla contenzione fisica, mentre i cocktails di farmaci somministrati mirano ad annullare la coscienza di sé della persona, a renderla docile ai ritmi e alle regole ospedaliere. Il grado di spersonalizzazione ed alienazione che si può raggiungere durante una settimana di TSO ha pochi eguali, anche per il bombardamento chimico a cui si è sottoposti. Ecco come l’obbligo di cura oggi non significhi più necessariamente la reclusione in una struttura, ma si trasformi nell’impossibilità di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico sotto costante minaccia di ricorso al ricovero coatto sfruttato come strumento di ricatto e repressione.

Crediamo nella necessità di costruire reti sociali autogestite e spazi sociali autonomi, in grado di garantire un sostegno materiale, una vita senza compromessi di invalidità o amministratori di sostegno che gestiscono le esistenze delle persone seguite dalla psichiatria, nonché un reddito e un lavoro non gestiti dai servizi socio-sanitari, bensì autonomamente dal soggetto.

 Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale. Uno concreto percorso di superamento delle pratiche psichiatriche passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non etichettante, senza pregiudizi e non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org

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